Antonello da Messina

Pubblicato il da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone

Ritratto Trivulzio - Antonello da Messina

Ritratto Trivulzio - Antonello da Messina

Lo so. Tu pensi che io abbia le allucinazioni. Dovrei uscire di più ...  - E sbuffava, gli faceva il verso - E vedere gente. Certo. Come no? Ricostruirmi una vita. Certo, che incontrerò qualcuno. Ma vedi non è che non riesca ad affezionarmi più. Soprattutto non è che pensi sempre a quello. Ma quali i rimpianti! Insomma,è andata com’è andata. Non è che mi chieda di continuo come sarebbe potuta andare ... Non è così, ti dico. E ad ogni modo un po’ di valeriana alla sera. Sì. E non fumare, niente caffeina prima di dormire. E neppure il tè verde.

Le sue telefonate con l’amico medico, in teoria “un lucido razionalista”, si svolgevano tutte più o meno a questa maniera.

Continuava intanto a dibattersi nel dubbio di aver visto giusto. O di avere cominciato a scendere lungo la china della follia, come si dice.  

Lo aveva guardato in uno strano modo, anche quella sera. Parlo del quadretto che aveva appeso vicino alla stufa. Non si era voltato indietro. Ho deciso: lo ignorerò, d’ora in poi. Poi, passato oltre, non poteva fare a meno di ritornare con lo sguardo sul corridoio, con un impulso ridicolo che non riusciva a frenare. Cominciava a convincersi di aver sentito qualcosa, un mezzo rumore ...

Aveva preso il suo libro anche in quell’occasione. Poi i suoi begli occhiali in montatura leggera che aveva comprato in negozio, in galleria, niente di pretenzioso, uno di quelli di una catena di ottica popolare, neppure la più alla moda. Tutt’altro.

Vi era entrato perché si trovava in tasca la diagnosi dell’oculista e l’impegnativa che questi gli aveva rilasciato. Da lui oltretutto grazie all’Azienda Sanitaria locale, dove, nello stesso giorno in cui aveva fatto richiesta, aveva trovato uno specialista disponibile a visitarlo. Cosa legge qui? e qui? Passiamo alla fila successiva. Non è i, è una elle. E quello che tornava a scrivere qualcosa, un referto, come un certosino. No – si sarebbe sorpreso a ricordare -  più come il conto alla vecchia macelleria dove andava da bambino: mamma ha detto che le serve questo e quello. Poi passa lei per saldare il conto. L’oculista nel frattempo manovrava le sue cose. Stringeva, apriva, allargava, blaterava. Non se lo ricordava bene l’oculista, a ripensarci. Era stato distratto da così tanta efficienza del servizio. Non faccio in tempo a chiedere la disponibilità del dottore ed eccolo lì, pronto al consulto. Ne era uscito un po’ confuso. Ora le lenti da presbite. La sua in effetti è una forma abbastanza pronunciata di astigmatismo. Le lenti sono obbligatorie.

Nel negozio di ottica – dicevamo - c’era entrato dunque, sicuro del fatto suo. Aveva tutto quello che occorreva per scegliersi il suo paio di occhiali. Non trascurerei il fatto che era stato incuriosito dal ragazzo che aveva visto sul fondo del magazzino, incorniciato dalle vetrine dozzinali di una catena di anonimi negozi di occhiali, scuro di carnagione, belloccio, gentile, affettato, ora persino confidenziale. Che lavoro fa? Ah bellissimo lavoro. Io mi chiamo Ernesto. Le posso dare un consiglio? E giù una serie di indicazioni non richieste, con la furbizia e l’avvedutezza di chi ti ha già inquadrato: questo compra. E infatti aveva comprato. Con un atteggiamento, quello del venditore, che avresti detto pure ammiccante, solita deformazione professionale. Tanto che infatti lì davanti c’era ancora ripassato, senza fermarsi, certo. Per darci uno sguardo e per capire a che gioco avesse giocato ...

Se li metteva per benino sul naso i suoi occhiali e prendeva il suo libro, quella sera, mentre quell’altro, appeso al muro, faceva finta di non averlo mai visto. L’uno sbirciava dal basso, di nascosto. L’altro dalla sua parete – gli sembrava. Cioè lo provocava. Lo aspettava. Lo voleva fare impazzire. Tanto è sempre da qui che devi passare: la camera da letto è proprio qui in fondo. A meno che tu non decida di dormire sul divano e di uscire dal balcone domattina. Quindi il libro lo aveva catturato. La lettura lo aveva distratto. Mentre l’altro in cornice doveva essersi addormentato. Gli sembrava di sentire qualcuno che russava. Questa sera vado a letto tranquillo – si era detto. E così aveva fatto.

C’era una fetta di crostata in frigo. Si era alzato affamato nel cuore della notte. Gli accadeva spesso. Non trovava le ciabatte che erano andate a finire sotto il letto. Al buio e scalzo, verso il bagno. Poi verso la cucina. Gelida la crostata a quell’ora, ma ne aveva bisogno. Fece per tornare a dormire, quando si ricordò del ritratto alla parete. Fisso quello, sguardo immobile, vitreo direi, com’era giusto, appena una piega beffarda al lato della bocca. Sono un pazzo a pensare questa cosa.

Poi immaginò come un battito di palpebre, come in quei quadri di santi e di madonne che aveva visto al mercato, che se li sposti per un verso, chiudono e aprono gli occhi e attorno gli si fanno cori di angeli e altri scenari da Eden o da anime dell’Inferno. Sono un idiota.

Gli mandò un bacio come a dire “arrivederci e grazie. Altro che presenze ... Stavolta non mi freghi …”. E se ne andò a dormire. Va bene, sbatte un’imposta. Non è niente. Quel quadretto lo devo buttare. Solo che proprio non gli andava di dargliela vinta, a quella sorta di superstizione.

Allora com’è andata? Hai riposato? – il medico di soccorso amico. Sì ti dirò. Credo che sia solo stanchezza, solitudine disorientamento. Aver perso un bel po’ del mio lavoro e delle mie sicurezze. Si sorprendeva a dirlo e a pensare che, al solo dichiararlo, questo non gli avrebbe portato bene. Quando si decise a buttarla via quella foto, nella stufa, la prima volta si bruciò le dita sulla base di ghisa incandescente di quella che era la sua unica fonte di riscaldamento, in casa. Gli diede un gran calcio per la rabbia e lo sportellino perse la maniglia. Dovette spazzare delle ore per trovarla. Un’altra poi, mentre ci pensava, quello sembrò che chiudesse gli occhi per chiedere scusa. “Devi capire, è la solitudine di sentirsi solo una cosa”. Tanto che ne ebbe pietà in qualche maniera. Lo guardò come a dire “non farlo più. Prometti!” mentre il sibilo della caffettiera lo avvertiva che il caffè era uscito ed aveva sporcato il piano della cucina. Maledetto me che mi metto a perder tempo con queste cose! Quello aveva riso. Sì, aveva riso. Ne era certo aveva riso. Un ghigno, forse. Ancora quella piega all’angolo di quella sua bocca sottile. Shalom gli aveva letto a fior di labbra, Pace. E pace sia in cielo e in terra a tutti gli uomini di buona volontà. Alla prossima ti lancio nel fuoco.

Sul fuoco c’era ancora qualcosa infatti. C’era un brutto odore di bruciato. Sì, si era stancato di questa situazione. E la carne aveva preso un colore, come un tizzone. Temo, da buttare. Mangerò il solito scatolame. Questo andrà bene. Vuoi favorire, maledetto sbruffone? Lui sembrò che facesse il gesto “di quella roba non gradirei neppure l'odore”. Persino la mano sembrò muovere con educazione.

Non ho mai visto un quadro del Rinascimento prendere vita a questo modo. Ma no che non sto esagerando. Era mezzo inclinato stamattina. Non avrò digerito. La cena non era un granché e la carne era bruciata. Lo scatolame è pieno di conservanti, pieno di sale.

Quello lo guardava con una certa disapprovazione mentre al telefono l’amico non sapeva più cosa pensare. Dai, vengo a prenderti. Usciamo. Va bene?

Che amico, vedi? - gli fa - Questi sono amici. L’altro non aveva gradito. La piega si era fatta più amara e accentuata.

Sono qui sotto, ma il citofono? Non funziona? Ma sì. Fino a poco fa. Ho parlato col portiere. Non è acceso neanche il quadro. Ti apro. Non andava. Neppure l’apertura in automatico. Scendo.

Non ti trovo malaccio. Mi devi dire meglio. No che non lo voglio vedere questo quadro. Te ne devi liberare. Ok. Entrano. Tutto tranquillo. Un bel tepore. Acceso la stufa? Ma, non io … Non glielo disse che proprio non gli sembrava di averlo fatto quella sera.

La serata andò come andò, senza scossoni, una normale cena tra amici. Entrò con lui in casa, gli prese dal muro quel quadro da maledizione, “lo porto via”, mentre già sapeva quello che ne avrebbe fatto. Ciao, ciao, ci sentiamo domani. In un attimo sarò a casa. La strada era sgombra. Solo un semaforo e poi la svolta a sinistra. Primo piano, non passa nessuno. Vado! Lo incrocia qualcuno, un rumore. Carcasse e rottami. Sul sedile quell’immagine vitrea. E tutto intorno un’eco come di una mezza risata.    

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